Lui è arrivato lì già in stato ansiogeno (“vado di corsa e non so perché”) e ora si visualizza nell’atto di deflagrare (“mi giro a guardare se perdo parti di me”). La mia amica cantava strillando di “fiamme nel campo rom” e non me ne capacitavo. È disponibile a corrispondere all'avente diritto un equo compenso in Leggi il Testo, scopri il Significato e guarda il Video musicale di Frosinone – Live di Calcutta contenuta nell'album Mainstream +. La precisazione sul suo gusto è necessaria: dopo il primo ascolto ero invaso dallo scetticismo, certi versi mi sembravano volersi arruffianare l’ascoltatore, in una specie di indulgenza compiaciuta verso un’estetica che, all’epoca, mi parve avere a che fare con un generico disagio. Accetta solo fotografie non esclusive, destinate a utilizzo su testate Su queste basi, a questo punto, l’insicurezza si trasforma in rabbia, espressa sotto forma di minaccia: me ne ritorno a casa e mi metto a fare la cosa più banale, ma forse anche più tristemente quotidiana che potrei fare, ossia guardarmi un film. Utilizza solo immagini e fotografie rese disponibili a fini promozionali In caso di problemi scrivi a myrockol@rockol.it, {{ store.state.user.profile.displayName }}, Diodato - canta "Adesso" alla serata finale della Mostra del cinema di Venezia. cronaca, in modalità degradata conforme alle prescrizioni della legge caso di pubblicazione di fotografie il cui autore sia, all'atto della Che sia in questo stato per scelta o per necessità, non è rilevante (“questa è la mia libertà” è un’affermazione che sembra avere un duplice significato, se ci si vuole leggere dell’ironia). In “Futura”, cronaca di una notte andata straordinariamente bene, lo scenario era stellare, spaziale, “in mezzo ai razzi un batticuore”. Davanti a un cartone unto, è già tempo di autoanalisi, ripensando a “un paio di sbagli” commessi durante la serata. È un solco preciso che congiunge Calcutta a I Cani e ai susseguenti “Paracadute” e “Tubature” di Giorgio Poi, e che diventerà predominante nell’immaginario di questa ‘nuova canzone’: lo scarto del quotidiano, il fascino dell’inanimato secondario. Calcutta è già ‘un autore’, nel bene e nel male. Questa cronistoria di un fallimento, dissacrante e tremenda contemporaneamente, penso sia l’espressione più efficace della forza d’urto che Calcutta, venuto fuori un po’ dal nulla, ha avuto sulla scena della canzone italiana a partire dal 2015. Non ho riferimenti per dedurre che cosa è realmente successo, ma posso immaginare che la miccia scatenante di questa reazione sia che lei deve avergli fatto presente, magari con qualche commento o con un’antipatica freddezza, il suo disagio per l’appartamento o peggio per alcuni suoi atteggiamenti, magari un po’ alterati. Saremmo diventati normali. Mentre parafraso queste parole, sento che questo è il ‘cuore’ dell’identificazione della canzone di Calcutta con il suo pubblico: l’aver colto il senso di insoddisfazione per il punto a cui si è arrivati – o più che altro per ciò che non si è raggiunto – e al tempo stesso difenderne il processo, perché più di questo, in questo vivere davvero stremante, non siamo riusciti a fare, ma noi ci siamo ugualmente, l’urlo c’è sempre, è strozzato e un po’ stonato, ma è roboante. L’aspetto della composizione mi suonava palesemente elementare, quasi uno scherno. pseudo recensione di FROSINONE Calcutta: Significato interazioni, effetti collaterali. È per questa ragione, ipotizzo, che le canzoni di Calcutta sono ricche di riferimenti a nomi propri di celebrità (De Gregori e Celestini, “Limonata”) come di precise topografie che possono essere ‘storiche’ nella canzone italiana (“Milano”) o assolutamente inedite (Peschiera del Garda in “Le barche”, Pesaro in “Cosa mi manchi a fare”). rientranti nelle fattispecie di cui sopra, per una nostra rapida È un lui in balia di se stesso, guidato da un’idea ‘pura’ di sentimento che fa a botte con lo sfacelo del suo stare in piedi. Ti chiedo scusa per l’appartamento e la rabbia che mi fa, Non ho lavato i piatti con lo Svelto e questa è la mia libertà. Dopo la solitudine lo smarrimento, e il quotidiano spicciolo come palcoscenico di una relazione che procede a fatica (Ti chiedo scusa per l’appartamento e la rabbia che mi fa / Non ho lavato i piatti con lo Svelto, è questa la mia libertà). Allo stesso tempo, eccomi in tutta la mia verità, nel ribadirti che questo sono io, libero dai vincoli che una vita ‘normale’ mi imporrebbe, nei quali comunque non riuscirei ad adattarmi. Calcutta, il disagio di un cantautore venuto da Latina: "Volevo fare un disco mainstream" Gianni Santoro Edoardo D'Erme ha 26 anni e arriva dai confini dell'Impero romano. (“for press use”) da case discografiche, agenti di artisti e uffici stampa. Oggi non ha più molto senso fare gli astanti sconcertati, quelli che non si spiegano il successo di una costruzione musicale tanto ‘banale’ e di uno stile lirico ‘pretestuoso’. Nella foto di gruppo di un decennio Calcutta sta in prima fila e in posizione centrale. pubblicazione, ignoto. Soli contro tutto e tutti, urtiamo e sbattiamo come diavoli della Tasmania, sperando che fortuitamente, tra le altre ombre che ispirano solo rigetto (“A me quel tipo di gente no, non va proprio giù”, ancora Limonata), si possa incontrare quel lampo di empatia che vale una corsa disperata, una “guagliona” incontrata una volta o forse mai di cui non si conserva che un ricordo fugace che vale uno slancio vitale preziosissimo (Oroscopo). Inserisci l'indirizzo e-mail fornito in fase di registrazione e richiedi il reset della CreditsWriter(s): Edoardo D'erme “Ho visto troppa gente in questi sette anni / per scegliere qualcuno ci ho messo dieci secondi” dichiara Motta in “La fine dei vent’anni“, ed è un punto di contatto forte con il momento di lucidità di Calcutta in “Frosinone”. Uno che all’improvviso si mette a strillare e fa scenate, prima di ripiombare nel suo turbinio interiore senza consentire a nessuno di inserirsi nei suoi spiragli di lucidità. E invece, è andata male, come al solito, ho combinato un casino e tu sei stata stronza. Questa estetica del disincanto, che si tramuta ad intermittenza in rabbia e in cinismo, si rafforza attorno all’idea che mentre noi periamo in questo quotidiano, esso sia stato invaso – per nostra stessa responsabilità – da una sovrabbondanza di riferimenti, personali e pubblici, ciascuno tramutatosi in un ingorgo di senso, deformato al limite dell’assurdo, al punto da diventare inspiegabile, da non crederci. E’ la destinataria delle sue parole, anche se i punti di riferimento che ci consentono di affermarlo non sono ovunque così certi. fotografi dei quali viene riportato il copyright. Chi non capisce ricorre al bollo di “sfigato”, ma il personaggio è ben più complesso: è un robottino sentimentale che obbedisce alle leggi fisiologiche dell’autodisintegrazione, composto da pezzetti tenuti in piedi in modo precario, ma orgogliosamente onesto. Con la stessa rapidità passa dal malinconico-sommesso all’urgente, in uno strappo che ha l’efficacia di un refrain, di quelli che se non arrivano sembra manchi qualcosa. Il mio errore era soffermarmi sul grado di sofisticazione di quanto stessi ascoltando, ignorando un livello altro della questione: che Mainstream fosse in grado di tratteggiare, in pochi minuti e con un approccio molto diretto, un personaggio protagonista peculiare, da detestare ed adorare al contempo. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice. Persino loro ci sono riusciti, persino loro. con la voce che dal suo exploit di livore è già rientrata in un tono intimo, affannato, come se questa frase l’avesse detta a se stesso, constatando lo sfacelo finale. C'E' UNO CHE MANGIA UNA PIZZA DI NOTTE, RIPENSA AD ALCUNI SBAGLI, E … Usa le immagini per finalità di critica ed esercizio del diritto di Ancora una volta, sono cosciente del disastro e il vederlo mi fa incazzare, perché mi fornisce un’evidenza del mio stato. Una escape room in cui azzerare il senso di appartenenza. Il quadro esplode nel momento in cui il ritornello vira in minore, e raschiate chitarre e un groove più appesantito e feroce rivelano la natura del nostro robottino a pezzi, quando perde il controllo. Così si può stare in piedi da trentenni nel 2015: martoriati e sfatti, in perenne battaglia irrisolvibile con le ombre di noi, senza alcuna fiducia nelle ‘diete’ di sopravvivenza di cui il post-Duemila ci ha inondato a fasi cicliche (“tu bevi limonata e non ce la fai più”, Limonata), tentiamo di trasformare questa nuvola di sfiga in originali e sbrindellati ‘caratteri’, grotteschi e paraculi, carichi di un’autoironia che sfocia a turno in corrosione e/o autocommiserazione, forse aggrappati a un ideale ‘cosmico’ di sentimento, inteso come il segnale lontano di un quasar che non sappiamo cos’è ma che magari abbiamo colto in un istante. Come è noto, il web ha fatto il resto, accelerando i tempi del rimescolamento, consolidando la notorietà di una folta serie di contro-icone (con relative imitazioni), soprattutto cambiando il paniere del pop italico, rinnovando le modalità con cui la canzone innesca il processo di identificazione. E dire che non chiedevo nulla di che. Una parte cospicua di questo interesse si è riversato su Calcutta anche per effetto dei fastidi che ha seminato in tanti, probabilmente in tutti coloro che hanno visto materializzarsi un ritratto caratteriale in cui non amavano riconoscersi, e di conseguenza mal sopportando che gruppi così ampi di persone – diciottenni e quarantenni insieme accorsi alla corte di un trentenne – sviluppassero un’adesione così euforica per un profilo tanto abrasivo, uno in grado di piombare nel cuore della notte a casa di una tipa e rovinare ogni buon proposito con la sua dose massiccia di maldestra insicurezza. In “Frosinone” questo processo viene esplicitato: per giustificare agli occhi di lei il fatto che (lui) non è più come tanti anni fa, e che il tempo passa e quell’idea mitica di ciò che è stato si è stemperata tra le difficoltà del vivere odierno, interrompe il racconto con un’estrapolazione da un quotidiano, un’operazione alla “A day in the Life” dei Beatles: “c’è Papa Francesco e il Frosinone in Serie A”, ed è questo un fatto che deve sembrare pressoché inverosimile, dato il contesto, data la provenienza del protagonista da Latina. Un’amica del cui gusto non ho mai dubitato mi mette davanti, in preda a un entusiasmo non comune, il brevissimo album di Calcutta, Mainstream, del quale ignoravo l’esistenza. rimozione. Non solo: Calcutta è invaso da un’oggettistica priva di ogni referenza simbolica, svuotata di enfasi, anti-poetica, dove lo Svelto per lavare i piatti (un’assenza, perché i piatti sono sporchi) convive con il sito internet dal valore più elevato per il vivere odierno del succitato robottino-tipo (youPorn, in “Gaetano”). Invece che deprimersi, si è costruito una formidabile corazza sarcastica per mantenere un’immagine decorosa del sé, per sentirsi ugualmente presente. Coerente con questa self-consciousness schizofrenica, questo essere solidamente cosciente della sua insicurezza e al tempo stesso viverla con serena fierezza, nel rivederla oggi lui mette subito le mani avanti, rilevando agli occhi di lei un’immagine di degrado che, al contempo, è vissuta con orgoglio identitario. Il suono sapeva di oratorio. Quando meno te l’aspetti ha già cambiato la prospettiva dal personale al dominio comune (E stanotte se ci va / Noi a questa America daremo un figlio / Che morirà in jihad / Ti chiedo scusa se non è lo stesso di tanti anni fa / Leggo il giornale e c’è papa Francesco / E il Frosinone in serie A). Frosinone, una topografia mai vista prima nel canzoniere italiano, diventa luogo-simbolo di questo senso di inadeguatezza personale: persino una cittadina mai centrale nel pallottoliere calcistico nazionale è riuscita ad avere una sua rivalsa, e il solo dirlo suona strano e bizzarro, ma a un livello più profondo è ugualmente un’altra forma di ferita. Questa lei da cui correre è un miraggio, un sogno già trasferito nella sua dimensione più irreale, che diventa cinematografica. Non solo: a storcere la bocca, si rischia di lasciarsi sfuggire una delle più efficaci descrizioni di un certo profilo umano tipo degli anni Dieci, combinazione implosa di disincanto al limite del livore, sarcasmo al limite della cattiveria, cinismo al limite della spietatezza verso se stessi. contenuti informativi. Rockol.com S.r.l. In quest’attività auto-censoria la revisione del sé, invece che sfociare in struggimento, si camuffa da gesto ridanciano. e, in generale, quelle libere da diritti. sul diritto d'autore, utilizzate ad esclusivo corredo dei propri Frosinone, brano che occupa una posizione centrale in Mainstream, coglie questo personaggio nel mentre di una situazione che si potrebbe definire, in Calcutta, tipica. Dunque deambuliamo a pezzetti, tra luoghi notturni popolati da specchi di noi stessi, in attesa che quella folgorazione si ripeta. Link, © 2020 Riproduzione riservata. Rockol.com S.r.l. Ancora una volta, guidato da questa forma di consapevolezza duale, si compiace di queste presenze “spurie” nel suo cantare rilevando al contempo l’assurdità della loro importanza. Calcutta frosinone significato Calcutta, il disagio di un cantautore venuto da Latina . Sempre su invito della mia amica, ho assistito a due suoi concerti in pochi mesi, rimanendo inutilmente scioccato dalla reazione del pubblico, travolto da un singalong vicino al tributo, un ininterrotto canto all’unisono al limite della raucedine – e il rauco, in Mainstream, è un tratto stilistico carico di significato. Frosinone – Live Lyrics. Il risultato è l’apice della disperazione: Io ti giuro che torno a casa e non so di chi. Calcutta dà corpo a questa sensazione completamente innervata nella contraddizione con una coppia di versi che sento straordinariamente crudeli. Vogliate segnalarci immediatamente la eventuali presenza di immagini non Poi, con una giravolta lirica di geniale intuito, Calcutta combina la prima metà del primo verso e la seconda del secondo. Ma Motta è più freddo, si fotografa già in uno stadio successivo, già operativo, in cui “non ho tempo di pensare a cosa è cambiato”, mentre “Frosinone” è ancora ‘dentro’ il casino, una documentazione infuocata dell’archetipo del disastro. Ed è diventato inutile porre un qualsiasi filtro razionale: Mainstream, più di ogni altro lavoro comparso in quello specifico arco temporale, ha rivelato una forza popolare infestante. Il punto, secondo me, è che va a casa a guardarlo piuttosto che fare qualcos’altro, in un tragitto di fuga o di ritirata. I miei sono solo tentativi di capire perché questo ascolto non lasci indifferenti. Una ristrutturazione del loser, per i detrattori, di quelli urtanti, poiché non facili da integrare nel flusso, da utilizzare nelle serate tra amici come spalla comica. Questa tendenza è operata in buonissima fede – quell’ossessione per la folgorazione da sentimento “puro” di cui ho già parlato – ma i suoi effetti sono devastanti. A passare dal “futuro” alla città di “Frosinone” si scala il contesto vertiginosamente, e allora lo scenario del fallimento si popola di case e appartamenti, tinelli zozzi e serie tv che scorrono ininterrotte su schermi accesi all’infinito. Calcutta utilizza queste digressioni fulminee nel branding come per sottolineare la bizzarria delle nostre nuove coordinate spazio-temporali, e lo fa in un modo istintivo, quasi non pensato, dando linfa a un suo gusto per rime vertiginose (l’accoppiata “Medjugorie – De Gregori” è da choc), e al tempo stesso offrendo a chi ascolta punti di contatto terreni con la sua esistenza. Un film a caso – L’ultimo dei Mohicani – di cui non si conosce il regista, come a rimarcare con una punta di veleno l’insofferenza per lo snobismo di chi deve associare per forza un autore a un’opera (e chissà che non sia proprio lei e la sua sotterranea saccenza ad avergli ispirato questo commento). C’è uno (sempre lui) che va di corsa, con la paura di perdere i pezzi ed è il primo a non averne, di riferimenti certi. Su Rockol trovi tutto sui tuoi artisti preferiti: Lyrics, testi, video, foto e molto altro. Un cartoon fitto di idiosincrasie e bizzarrie, piuttosto atipico nel panorama italiano, ma insieme in grado di incanalare questo denso collage di contraddizioni in un urlo corale. Lyrics powered by www.musixmatch.com Come se il punto d’arrivo massimo, oggi, corrispondesse all’elemento minimo su cui siamo stati formati, il mattone come valore essenziale, il focolare domestico come miraggio di serenità e senso di ‘raggiungimento dell’obiettivo’, un traguardo sempre più pulviscolare, arduo da raggiungere, quasi impossibile. Ero sul punto di trasformare questa nottata in uno zenit amoroso, avremmo fatto un figlio insieme, come i protagonisti di “Futura” di Lucio Dalla concepiscono un bimbo come antidoto alla Guerra Fredda, e la vita, probabilmente, sarebbe cambiata per sempre. Apri un sito e guadagna con Altervista - Disclaimer - Segnala abuso - Privacy Policy - Personalizza tracciamento pubblicitario, DIAPASONE 200mg – Canzoni compresse orosolubili. Dipanatasi più per induzione reciproca che per dichiarata imposizione, l’aura di Edoardo D’Emme (vero nome del Calcutta), geneticamente modificata sulla sensibilità di Niccolò Contessa de I Cani, produttore di Mainstream e assurto al ruolo di nume, ha contribuito non poco a portare a compimento un processo di rinnovamento atteso, in un quadro musicale che stentava a rigenerare linguaggi, pur con tutta la loro corposa componente derivativa, più che idoli. In questo momento è già nitido un tratto distintivo del personaggio cantato da Calcutta, cioè il suo avvilupparsi attorno a un gioco di contraddizioni esplosivo, fondamentale per capirne la capacità di identificazione da parte di chi lo ascolta. Probabilmente dà più gusto ricevere tutto ciò alla sprovvista, farci trovare dove siamo prima che la ragione ci porti da un’altra parte. © 2020 Riproduzione riservata. Che è rabbiosa, ossessivo-compulsiva e disperata, ma di una disperazione autolesionista, quasi come una minaccia nei confronti dell’altro che l’ha messo in difficoltà. “Frosinone – Live” è una canzone di Calcutta. Calcutta è già stufo di quell'immagine e con il nuovo lavoro, più pulito, arrangiato e suonato professionalmente, vuole smentire l'estetica purista dell'esordio tra fai da te e bassa fedeltà E non conoscevo l’esistenza di “Forse…“. Naturalmente mi sbagliavo alla grande. Tipo 31 canzoni di NIck Hornby, ma scritto 31 volte peggio. Trentacinque anni dopo, persino un modesto appartamento in cui vivere una notte d’amore si trasforma in un’insidia, non riconosciamo le pareti e i nomi sul citofono, il pavimento diventa un terreno minato dove ogni passo può far collassare le proprie buone intenzioni rattrappite. Significato e analisi di "Frosinone", da "Mainstream", l'album di esordio del fenomeno Calcutta. Tra queste forme di contrasto radicale, una delle più forti sembra essere la coazione a ripetere gesti che egli stesso non si risparmia dal giudicare, ma dei quali non è in grado di fare a meno, in una tipica forma di dipendenza cosciente e autocompiaciuta. E sotto una coltre di paraculismo di difesa, perdersi l’occasione di vedere il ‘segreto’ reale del personaggio cantato da Calcutta: che sia uno degli ultimi custodi di un’immagine pura e idealizzata del sentimento, al raro stadio del diamante grezzo, prima che esso, tra le macerie di un vivere imbruttito, si tramuti in disperazione cronica. Pochi mesi dopo, mi sono ritrovato assediato da intere strofe di Mainstream, sedimentatesi dentro senza nemmeno accorgermi della loro fermentazione. Non solo: ha plagiato una comunità che non sapeva di esistere. Non viene fuori una crisi esistenziale o la disperazione di un amore, un ‘giuro che mi sbronzerò tutte le sere per dimenticarti o ricordarti come non eri’, ma un proposito da cui ci aspetteremmo il conforto della routine domestica: tornare a casa a guardarsi un film. valutazione e, ove confermato l’improprio utilizzo, per una immediata “A quest’America daremo un figlio / che morirà in jihad”: il robottino sbrindellato ha un’evidente tendenza alla mistificazione, al ‘farsi film’ nel senso letterale del termine. Lei, ci dice lo stesso protagonista, è più probabilmente un incontro di qualche anno prima, ai tempi in cui l’età era più clemente sul corpo e i segni dell’autodevastazione non erano così evidenti. Pubblica immagini fotografiche dal vivo concesse in utilizzo da Era la fine del 2015 e oggi mi sembra un’eternità fa. “L’ultimo dei Mohicani, non so di chi” è il verso che Calcutta usa da ponte per il successivo, dove dice di non sapere nemmeno di chi sia la casa a cui sta tornando, mentre noi si dava per scontato che fosse sua. Una scheggia impazzita di verità in un mare di comportamenti mediocri. Il Dalla ottimista visualizzava, nella minaccia nucleare globale, la nascita di una famiglia come compimento dell’essere umano. Mainstream è fitto di questi riferimenti velenosi a chi fa sfoggio del proprio sapere, salvo poi cadere in scelte di vita al limite dell’ipocrisia, una popolazione cresciuta a “taranta, celestini e BMW” che viene, con queste canzoni, investita da una valanga di disprezzo (e qui, certamente, c’è un altro punto focale dell’identificazione col suo pubblico). C’è uno che mangia una pizza di notte, ripensa ad alcuni sbagli, e sta per raggiungere una donna.
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